martedì 25 giugno 2024
venerdì 14 giugno 2024
POPE FRANCIS: A SHARED STYLE
Eminenza, cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti tutti!
Sono contento di incontrarvi, e colgo l’occasione per riflettere con voi sulla sinodalità, che avete scelto come tema della vostra giornata di incontro. Più volte ho ripetuto che il cammino sinodale richiede una conversione spirituale, perché senza un cambiamento interiore non si raggiungono risultati duraturi. Il mio desiderio, infatti, è che, dopo questo Sinodo, la sinodalità rimanga come modo di agire permanente nella Chiesa, a tutti i livelli, entrando nel cuore di tutti, pastori e fedeli, fino a diventare uno “stile ecclesiale” condiviso. Tutto ciò, però, richiede un cambiamento che deve avvenire in ognuno di noi, una vera e propria “conversione”.
È stato un cammino lungo. Pensate che il primo che ha visto che c’era bisogno della sinodalità nella Chiesa latina è stato San Paolo VI, quando dopo il Concilio ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi. La Chiesa orientale aveva conservato la sinodalità, invece la Chiesa latina l’aveva persa. È stato San Paolo VI ad aprire questa via. E oggi, a quasi 60 anni, possiamo dire che la sinodalità è entrata nel modo di agire della Chiesa. La cosa più importante di questo Sinodo sulla sinodalità non è tanto trattare questo problema o quell’altro. La cosa più importante è il cammino parrocchiale, diocesano e universale nella sinodalità.
E nell’ottica di questa conversione spirituale provo ora a indicare alcuni atteggiamenti, alcune “virtù sinodali”, che possiamo desumere dai tre annunci della Passione nel Vangelo di Marco (cfr 8,31; 9,31; 10,32-34): pensare secondo Dio, superare ogni chiusura e coltivare l’umiltà.
Primo: pensare secondo Dio. Dopo il primo annuncio della Passione, l’Evangelista ci riferisce che Pietro rimprovera Gesù. Proprio lui, che doveva essere di esempio e aiutare gli altri discepoli ad essere pienamente a servizio dell’opera del Maestro, si oppone ai piani di Dio, rifiutandone la passione e la morte. E Gesù gli dice: «Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,32).
Ecco il primo grande cambiamento interiore che ci viene chiesto: passare da un “pensiero solo umano” al “pensiero di Dio”. Nella Chiesa, prima di prendere ogni decisione, prima di iniziare ogni programma, ogni apostolato, ogni missione, dovremmo sempre chiederci: cosa vuole Dio da me, cosa vuole Dio da noi, in questo momento, in questa situazione? Quello che io ho in mente, quello che noi come gruppo abbiamo in mente, è veramente il “pensiero di Dio”? Ricordiamoci che il protagonista del cammino sinodale è lo Spirito Santo, non noi. Lui solo ci insegna ad ascoltare la voce di Dio, individualmente e come Chiesa.
Dio è sempre più grande delle nostre idee, è più grande della mentalità dominante, delle “mode ecclesiali” del momento, anche del carisma del nostro particolare gruppo o movimento. Perciò, non diamo mai per scontato di essere “sintonizzati” con Dio: cerchiamo piuttosto sempre di elevarci al di sopra di noi stessi per convertirci a pensare secondo Dio e non secondo gli uomini. Questa è la prima grande sfida. Pensare secondo Dio. Pensiamo a quel passo del Vangelo quando il Signore annuncia la Passione e Pietro si oppone. Cosa dice il Signore? “Tu non sei secondo Dio, tu non pensi secondo Dio”.
Secondo: superare ogni chiusura. Dopo il secondo annuncio della Passione, Giovanni si oppone a un uomo che praticava un esorcismo nel nome di Gesù, ma non era della cerchia dei discepoli: «Volevamo impedirglielo – afferma – perché non ci seguiva!» (Mc 9,38). Gesù non approva questo suo atteggiamento e gli dice: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40); poi invita tutti gli Apostoli a vigilare piuttosto su sé stessi, per non essere occasione di scandalo per gli altri (cfr Mc 9,42-50).
Stiamo attenti per favore alla tentazione del “cerchio chiuso”. I Dodici erano stati scelti per essere il fondamento del nuovo popolo di Dio, aperto a tutte le nazioni della terra, ma gli Apostoli non colgono questo orizzonte grande: si ripiegano su sé stessi e sembrano voler difendere i doni ricevuti dal Maestro – guarire i malati, cacciare i demoni, annunciare il Regno (cfr Mc 2,14) – come se fossero dei privilegi.
E questa è una sfida anche per noi: non andare al di là di quello che pensa la nostra “cerchia”, essere convinti che quello che facciamo noi vada bene per tutti, difendere, magari senza rendersene conto, posizioni, prerogative o prestigio “del gruppo”. Oppure lasciarsi bloccare dalla paura di perdere il proprio senso di appartenenza e la propria identità, per il fatto di aprirsi ad altre persone e ad altri modi di pensare, senza riconoscere la diversità come una opportunità, e non una minaccia. Sono, questi, “recinti” nei quali tutti rischiamo di rimanere prigionieri. State attenti: il proprio gruppo, la propria spiritualità, sono realtà per aiutare a camminare con il Popolo di Dio, ma non sono privilegi, perché c’è il pericolo di finire imprigionati in questi recinti.
La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di lasciarci colpire, anche “ferire” dalla voce, dall’esperienza e dalla sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci stanno accanto. Aperti, cuore aperto.
Infine, terzo: coltivare l’umiltà. Dopo il terzo annuncio della Passione, Giacomo e Giovanni chiedono posti di onore accanto a Gesù, che invece risponde loro invitando tutti a considerare vera grandezza non l’essere servito, ma il servire, l’essere servitore di tutti, perché Lui stesso è venuto a fare così (cfr Mc 10,44-45).
Comprendiamo qui che la conversione spirituale deve partire dall’umiltà, che è la porta d’ingresso di tutte le virtù. A me fa tristezza quando trovo cristiani che si vantano: perché io sono prete da qui, o perché sono laici da là, perché io sono di questa istituzione… Questa è una cosa brutta. L’umiltà è la porta, è l’inizio. E anche questo ci spinge a interrogarci: ma io cosa cerco davvero nei rapporti con i miei fratelli di fede? Perché porto avanti certe iniziative nella Chiesa? E se ci accorgiamo che in qualche modo ha fatto breccia in noi un po’ di orgoglio, o di superbia, allora domandiamo la grazia di tornare a convertirci all’umiltà. Solo gli umili, infatti, compiono cose grandi nella Chiesa, perché chi è umile ha basi solide, fondate sull’amore di Dio, che non viene mai meno, e perciò non cerca altri riconoscimenti.
E anche questa tappa della conversione spirituale è fondamentale per edificare una Chiesa sinodale: solo la persona umile infatti valorizza gli altri, e ne accoglie il contributo, i consigli, la ricchezza interiore, facendo emergere non il proprio “io”, ma il “noi” della comunità. A me fa dolore quando troviamo cristiani…, in spagnolo diciamo “yo me mí conmigo para mí ”, “io me mi con me per me”. Questi cristiani “al centro”. È triste. È l’umile che difende la comunione nella Chiesa, evitando le spaccature, superando le tensioni, sapendo mettere da parte anche le proprie iniziative per contribuire a progetti condivisi, e questo perchè nel servire trova gioia e non frustrazione o rancore. Vivere la sinodalità, ad ogni livello, è davvero impossibile senza umiltà.
E voglio dire un’altra volta, sottolineare il ruolo dei movimenti ecclesiali. I movimenti ecclesiali sono per il servizio, non per noi stessi. È triste quando si sente che “io appartengo a questo, all’altro, all’altro”, come se fosse una cosa superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire.
Spero che questi pensieri vi siano utili per il vostro cammino, nelle vostre associazioni e movimenti, nelle relazioni con i Pastori e con tutte le realtà ecclesiali; e mi auguro che questo incontro e altri momenti simili vi aiutino a valorizzare i rispettivi carismi in una prospettiva ecclesiale, per dare il vostro generoso e prezioso contributo all’evangelizzazione, alla quale tutti noi siamo chiamati.
Sempre guardate questo: la mia appartenenza è al movimento ecclesiale, è all’associazione o è alla Chiesa? È nel mio movimento, nella mia associazione per la Chiesa, come uno “stadio” per aiutare la Chiesa. Ma i movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali.
Vi benedico, andate avanti! E, per favore, pregate per me. A favore!
In the photos: The Holy Father meets the Ecclesiastical Assistant and the President of UMEC-WUCT, Archbishop Dollmann and prof. De Groof
mercoledì 12 giugno 2024
STYLE ET COMPETENCES D'UN ENSEIGNANT CATHOLIQUE
QUELQUES REFLEXIONS
- par Giovanni Perrone
Je pense à la pédagogie de
l’Evangile. L’enseignant catholique est, primairement, témoin de l’Evangile,
soi dans l’école catholique, soit dans l’école laïque.
Jésus a choisi d’aller sur les
routes de
Il sait construire des chemins de
dialogue et de paix. Il est toujours prêt à accueillir tout le monde avec un
sourire sincère et encourageant, et un cœur ouvert.
Jésus était toujours conscient de sa mission, d’être envoyé par le Père pour sauver l’homme.
L’enseignant catholique doit être toujours conscient
et content de sa mission culturelle. Il n’est pas « damnatus ad
pueros » (condamné à travailler avec les enfants), mais expert dans la transformation des objets
culturels en objets culturels
scolastiques. Il est engagé à aider les élèves à reconstruire des
savoirs sélectionnés et qui sont reconnus par la société.
Il est capable d’organiser des sentiers
et des instruments d’apprentissage pour soi-même et pour les élèves et il est
responsable de la qualité des apprentissages.
Particulièrement il est capable
d’aider les élèves plus faibles, plus pauvres culturellement et socialement. Il
est capable de favoriser dans sa classe et dans l’école des rapports positives,
de solidarité pour un bon climat pédagogique.
Le travail en group, la créativité, la réflexivité, l’évaluation du travail
scolaire et de la manière de vivre les valeurs dans la quotidienneté, la
coopération, l’engagement pour améliorer soi-même et les autres, la joie de
travailler ensemble et de travailler bien pour obtenir des positifs résultats,
la responsabilité, l’amour pour la vie doivent être les caractéristiques de la
classe géré par un enseignant catholique et de l’école ou il travaille.
Il connaît la pédagogie, la psychologie
et la didactique et il sait choisir les méthodes plus adaptes pour assurer à
chaque élève un bon apprentissage.
Il aime la vie, la culture et
l’apprentissage. Pour ça il cure sa formation humaine, cultural, spirituel,
pédagogique et méthodologique. Il est responsable de sa formation continue et il
sait choir les bonnes occasions et les bons lieux de formation.
Jésus était toujours pré à accueillir les autres. L’enseignant catholique est l’homme de l’accueil, de la disponibilité, de l’espoir, de l’optimisme. Il sait organiser et gérer des sentiers pour faire grandir les élèves dans ces vertus.
Jésus savait écouter et parler. Il savait parler avec simplicité (en utilisant la culture et le langage des auditeurs) de grandes choses. L’enseignant doit être disponible à l’écoute et au dialogue, avec les élèves, avec les autres enseignants, avec les parents, avec les responsables de la société. Il doit connaître et utiliser des façons et des langages adaptes pour se faire comprendre. Façons et langages qui sont toujours animés par l’amour. L’enseignant est témoin de l’amour de Dieu pour les hommes. En fait, « Dieu a exigé de nous l’amour de l’amour » (Levinas)
Jésus savait prendre en charge ses compagnons de route et les conduire (comme un frère plus grand) sur les sentiers du monde, envers de buts de grande valeur et il a su faire apprécier ces buts et donner les compétences nécessaires pour les rejoindre. L’enseignant catholique sait accompagner et valoriser les élèves, sans perdre aucun (le bon berger) et en l’aidant à devenir des hommes compétents, responsables et autonomes.
Il connaît les buts de l’école et
il sait que l’éducation et l’apprentissage sont le premier buts, un
enseignement qui donne à chacun élève la capacité d’apprendre pour toute la
vie, d’interagir positivement avec le monde entier, et de rendre un bon service
à la société.
Et enfin, Jésus savait se retirer dans la solitude pour prière, pour réfléchir. L’enseignant sait chercher et trouver des espaces de silence, de réflexivité et sait prier pour ses élèves, pour ses collègues, pour les besoins du monde. Il sait bien que sens l’aide de Dieu son travail est vanisé.
giovedì 6 giugno 2024
FREEDOM TO SERVE
Basing his reflection
on the Hebrew word
for “Spirit”,
Pope Francis explains
that the Third Person of the Trinity
is able to make us
truly free.
-By Christopher Wells
Pope Francis began his catechesis on Wednesday with a reflection on the Name of
the Holy Spirit, which is revealed in the Old Testament as Ruach, a
Hebrew word meaning “breath, wind, or puff of air.”
This word, he said, contains “the first fundamental
revelation about the Person and function of the Holy Spirit.”
Recalling the “roar of rushing wind” that accompanied
the descent of the Holy Spirit at Pentecost, the Pope explained that the
name Ruach expresses the “power” of the Holy Spirit, which
like the wind is “an overwhelming and indomitable force… capable even of moving
oceans.”
The freedom of the Holy Spirit
But “to discover the full meaning of the realities of
the Bible,” the Pope continued, it is necessary to go beyond the Old Testament
“and come to Jesus,” who emphasizes the freedom of the Spirit: “The wind blows
where it wishes, and you hear its sound, but you do not know where it comes
from or where it goes. So it is with everyone who is born of the Spirit.”
Like the wind, that cannot “be bridled, ‘bottled up,’
or put in a box, the Holy Spirit cannot be reduced to “concepts, definitions,
theses, or treatises,” nor enclosed within “canons, institutions, or
definitions.” The Spirit “creates and animates institutions, but cannot be
‘institutionalized’,” the Pope said.
Freedom to serve
At the same time, Pope Francis said, the freedom of
the Spirit is not “a freedom to do what one wants, but the freedom to freely do
what God wants!” This, he explained, “is a freedom that expresses itself in
service, which appears to be the opposite, but is
Following St Paul, who exhorts Christians not to allow
their freedom to become a pretext for the flesh, Pope Francis denounced the
false freedom “that allows the rich to exploit the poor, the strong to exploit
the weak, and everyone to exploit the environment with impunity.”
Pope Francis concluded his address by pointing out that the true freedom of the Spirit must come from Jesus, and inviting everyone to pray that, Jesus might make us “through His Holy Spirit, truly free men and women.”
POPE'S SPEECH
[AR - DE - EN - ES - FR - HR - IT - PL - PT]