APOSTOLIC JOURNEY OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS
TO IRAQ
[5-8 March 2021]
INTERRELIGIOUS MEETING
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Cari fratelli e sorelle,
questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti
dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo
nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio,
da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto
di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo
al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle
vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani
e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo
il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo
sulla terra.
1. Guardiamo il cielo. Contemplando dopo
millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti
più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di
unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che
sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello.
Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo.
Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di
avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo
sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo
a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se
estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a
tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio
sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della
vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge
ad amare. Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo. Nel mondo
d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i
credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità
mediante la loro fraternità.
Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre
Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più
blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e
violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E
noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione.
Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che
la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! Sopra questo Paese si
sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne
hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose. Vorrei ricordare in
particolare quella yazida, che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto
migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti
a violenze fisiche e a conversioni forzate. Oggi preghiamo per quanti hanno
subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché
tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e
riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti
fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale
è stato creato.
Il terrorismo, quando ha invaso il nord di questo caro Paese,
ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra
cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel
momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani
di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo
amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi
restaurano insieme moschee e chiese. Il professor Ali Thajeel ci ha anche
raccontato il ritorno dei pellegrini in questa città. È importante peregrinare
verso i luoghi sacri: è il segno più bello della nostalgia del Cielo sulla
Terra. Perciò amare e custodire i luoghi sacri è una necessità esistenziale,
nel ricordo del nostro padre Abramo, che in diversi posti innalzò verso il
cielo altari al Signore (cfr Gen 12,7.8; 13,18; 22,9). Il grande
patriarca ci aiuti a rendere i luoghi sacri di ciascuno oasi di pace e
d’incontro per tutti! Egli, per la sua fedeltà a Dio, divenne benedizione per
tutte le genti (cfr Gen 12,3); il nostro essere oggi qui sulle sue
orme sia segno di benedizione e di speranza per l’Iraq, per il Medio Oriente e
per il mondo intero. Il Cielo non si è stancato della Terra: Dio ama ogni
popolo, ogni sua figlia e ogni suo figlio! Non stanchiamoci mai di guardare
il cielo, di guardare queste stelle, le stesse che, a suo tempo, guardò il
nostro padre Abramo.
2. Camminiamo sulla terra. Gli occhi al cielo non
distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere
un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e
latitudine. Ma tutto cominciò da qui, dal Signore che “lo fece uscire da Ur”
(cfr Gen 15,7). Il suo fu dunque un cammino in uscita, che
comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando
alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede
qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e
attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere
l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli. Sì, abbiamo
bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli
altri. La pandemia ci ha fatto comprendere che «nessuno si salva da solo»
(Lett. enc. Fratelli
tutti, 54). Eppure ritorna sempre la tentazione di prendere le distanze
dagli altri. Ma «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti
contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (ibid.,
36). Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non
ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi
ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del
denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui
l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e
paralizza il cuore.
La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra,
è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare
insieme dalla stessa parte. È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla
crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta
miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza
condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e
promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza
popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri
saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le
alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri
aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli
e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino
dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio
Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria.
Il patriarca Abramo, che oggi ci raduna in unità, fu profeta
dell’Altissimo. Un’antica profezia dice che i popoli «spezzeranno le loro spade
e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Questa
profezia non si è realizzata, anzi spade e lance sono diventate missili e
bombe. Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad
avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non
ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta
del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di
avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a
discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di
Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può
giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può
atteggiarsi in modo aggressivo.
Cari amici, tutto ciò è possibile? Il padre Abramo, egli che
seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia. Nella
storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno
per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio. Sta a
noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione,
convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con
forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle
armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a
tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli
scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti
e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai
soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad
alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai
nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale
per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani,
migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e
contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli
occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le
stelle della promessa.
Il cammino di Abramo fu una benedizione di pace. Ma non fu
facile: egli dovette affrontare lotte e imprevisti. Anche noi abbiamo davanti
un cammino accidentato, ma abbiamo bisogno, come il grande patriarca, di
fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di
condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze. Mi ha colpito la
testimonianza di Dawood e Hasan, un cristiano e un musulmano che, senza farsi
scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno
costruito il futuro e si sono scoperti fratelli. Anche noi, per andare avanti,
abbiamo bisogno di fare insieme qualcosa di buono e di concreto. Questa è la
via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati
dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a
guardare le stelle. È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più
efficace per un domani di pace. Perché siete voi, cari giovani, il nostro
presente e il nostro futuro!
Solo con gli altri si possono sanare le ferite del passato.
La signora Rafah ci ha raccontato l’eroico esempio di Najy, della comunità sabeana
mandeana, che perse la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino
musulmano. Quanta gente qui, nel silenzio e nel disinteresse del mondo, ha
avviato cammini di fraternità! Rafah ci ha raccontato pure le indicibili
sofferenze della guerra, che ha costretto molti ad abbandonare casa e patria in
cerca di un futuro per i loro figli. Grazie, Rafah, per aver condiviso con noi
la ferma volontà di restare qui, nella terra dei tuoi padri. Quanti non ci sono
riusciti e hanno dovuto fuggire, trovino un’accoglienza benevola, degna di
persone vulnerabili e ferite.
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