martedì 9 aprile 2019

SANTA SEDE-ISRAELE : 25 ANNI DI RELAZIONI DIPLOMATICHE - Holy See- Israel: 25 years of diplomatic relations.


Il 2 aprile 2005 moriva Papa Giovanni Paolo II una pietra miliare delle nostre relazioni.
Nel suo pontificato sono state instaurate le relazioni diplomatiche tra #Israele e #SantaSede nel 1994.


 

English: Holy See- Israel: 25 years of diplomatic  r

Così l’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede ha ricordato, con un tweet, la morte di san Giovanni Paolo II, che nel 2000 si recò in pellegrinaggio giubilare in Terra Santa. Nel 2019 queste relazioni diplomatiche celebrano il loro 25° anniversario.
Per l’occasione il Sir ha intervistato l’Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oren David.
Il 2019 segna 25 anni dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Israele e Santa Sede.  Dopo 25 anni qual è lo stato di salute dei rapporti tra Santa Sede e Israele?
Dopo 25 anni dall’instaurazione delle relazioni tra lo Stato di Israele e la Santa Sede possiamo dire che oggi le nostre relazioni sono buone e basate sul dialogo e sulla fiducia reciproca,  esse sono inoltre uniche perché questioni politiche si intrecciano con questioni di carattere religioso. I 25 anni segnano un giubileo d’argento e quest’anniversario deve essere uno stimolo per andare avanti e rafforzare ulteriormente la nostra cooperazione ad esempio in ambito accademico e culturale, nella promozione dei pellegrinaggi nei Luoghi Santi di Israele, nella lotta contro l’antisemitismo e contro il negazionismo, fenomeni che purtroppo stanno acquistando sempre più forza.
Le relazioni tra Stato di Israele e Vaticano sono basate su un legame “profondo e unico”. Ad essere condivisi “gli stessi valori, virtù e ideali”. Quale contributo ha dato il documento conciliare Nostra Aetate (1965) allo stabilimento di queste relazioni?
La Dichiarazione Nostra Aetate è un documento teologico unico che ha portato ad un cambiamento fondamentale nell’atteggiamento della Chiesa Cattolica verso l’ebraismo, e nelle relazioni tra cristiani ed ebrei e ha reso possibile la firma, il 3° dicembre 1993, dell’Accordo Fondamentale tra la Santa Sede e lo Stato di Israele: l’unico stato ebraico. Nel gennaio 1994, circa 46 anni dopo la creazione dello Stato di Israele, furono aperte in Israele l’Ambasciata Vaticana e a Roma l’Ambasciata Israeliana. Nostra Aetate è un documento epocale, ancora non sufficientemente conosciuto da tutti che bisogna continuare a diffondere.
Le visite dei Pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco in che modo possono essere considerate parti vive e fondanti dei rapporti tra Israele e Santa Sede? Quale ricordo hanno lasciato questi Papi in Israele? Hanno aiutato a favorire una maggiore amicizia tra ebrei e cristiani in Israele?
Quando un Papa si reca in Israele gli occhi di tutto il mondo seguono questo viaggio. Ogni viaggio è diverso perché i periodi storici sono diversi e perché le personalità dei Pontefici sono diverse. Questi viaggi possono essere considerati come una diplomazia dei gesti, una diplomazia che va oltre le parole ed è quindi altamente simbolica.
Giovanni Paolo II è stato in Israele nel 2000 in una visita ufficiale. E’ stato un Pontefice che ha vissuto e conosciuto la tragedia della Shoah e le relazioni diplomatiche tra i nostri due Stati sono iniziate con lui, quindi il suo pellegrinaggio è stato altamente simbolico e ha rafforzato il riavvicinamento tra ebrei e cristiani. Nella sua visita del 2009, Benedetto XVI ha ripreso alcuni degli elementi della visita del suo predecessore e ha segnato un ulteriore rafforzamento delle nostre relazioni, ha rappresentato un altro passo sulla via del dialogo. Papa Francesco ha visitato Israele nel maggio del 2014 ed è stato accolto con grande entusiasmo da tutta la popolazione israeliana senza distinzione di fede. La sua è stata una visita più breve di quella dei suoi predecessori ma è stata la sua prima visita ufficiale fuori Italia scelta da lui e la decisione di deporre una corona sulla tomba del fondatore del Sionismo, Theodor Herzl è stato un gesto di grande valore sia simbolico che politico, un ulteriore riconoscimento del legame tra il Popolo ebraico a la Terra di Israele.
Dopo 25 anni, tuttavia, restano ancora aperte alcune questioni, su tutte quella delle trattative in materia economica e fiscale. Mi riferisco, in particolare, alle rivendicazioni della proprietà di alcuni luoghi considerati sacri (Cenacolo) e alla tassazione di attività sociali e d’accoglienza. La Commissione bilaterale permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è riunita più volte in questi anni per continuare i negoziati in base all’Articolo 10 §2 del “Fundamental Agreement” tra la Santa Sede e lo Stato di Israele del 1993. A che punto sono i lavori? Il 2019 può essere l’anno della firma?
L’Accordo Economico e Finanziario tratta questioni relative alle proprietà della Chiesa in Israele e alla tassazione. Quando sarà firmato rappresenterà un’altra pietra miliare nelle nostre relazioni. Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di questioni molto complesse anche perché alcuni siti sono sensibili in quanto sacri a più di una religione. Abbiamo risolto e superato ostacoli importanti, ma è ancora necessario fare del lavoro prima di firmare il documento. Il principio che ci guida è quello di garantire la libertà di culto a tutte le religioni, che è un principio fondamentale della nostra democrazia.
Nell’aprile del 2013 l’allora presidente israeliano Shimon Peres in un’intervista all’Osservatore Romano, dopo un colloquio con Papa Francesco, ribadì la sua apertura per la soluzione dei “due Stati per due popoli” raggiungibile “attraverso il dialogo e i negoziati, in spirito di tolleranza e coesistenza”. Ritiene ancora possibile questa soluzione tanto a cuore alla Santa Sede?
Prima di tutto Hamas deve cessare di bombardare Israele con i suoi missili. Recentemente un missile ha colpito una casa nel nord di Tel Aviv distruggendola e ferendo 7 persone tra cui un bimbo di tre anni e uno di soli pochi mesi. Israele vuole la pace, ma le organizzazioni terroristiche non la vogliono. La soluzione a questa crisi rimane quella di due Stati che vivono uno accanto all’altro in pace, ma per ottenere questo bisogna sedersi insieme al tavolo della pace e non proseguire nel lancio di missili.
La firma dell’Accordo fondamentale, oltre a stabilire relazioni diplomatiche, prevede anche la collaborazione nella lotta contro l’antisemitismo e ogni tipo di razzismo e di intolleranza religiosa, la promozione di scambi a livello accademico, l’incremento dei pellegrinaggi cristiani in Terrasanta. Quali risultati sono stati raggiunti in questi ambiti?
Collaboriamo molto bene con le Università Pontificie e cattoliche, in Italia e nel mondo, tanto che abbiamo invitato diverse delegazioni di rettori e professori in Israele per stringere accordi con il mondo accademico israeliano. Per quanto riguarda i pellegrinaggi in Israele essi sono in continua crescita, ogni cristiano dovrebbe andare in Israele perché è lì che affondano le radici della sua fede.
Per quanto riguarda la lotta contro l’antisemitismo Papa Francesco a marzo ha incontrato in Vaticano una delegazione dell’American Jewish Committee a cui ha espresso la sua ‘grande preoccupazione’ per i fenomeni di antisemitismo che stanno accadendo in varie parti del mondo e ha detto: ‘Ribadisco che per un cristiano qualsiasi forma di antisemitismo rappresenta una negazione delle proprie origini, una contraddizione assoluta’. Che altro aggiungere a queste parole?
Per il futuro quali sono le questioni di interesse comune che, a suo avviso, chiedono una collaborazione intensificata tra Israele e Santa Sede? La protezione delle minoranze nel Medio Oriente e dunque la libertà religiosa? Il problema del terrorismo e del radicalismo islamico?
Sicuramente Israele e Santa Sede possono fare molto per combattere l’intolleranza religiosa così da togliere dei pretesti al terrorismo fondamentalista che è una minaccia non solo per Israele, ma per tutte le democrazie. La storia che cristiani ed ebrei condividono è vecchia di oltre 2000 anni e le nostre relazioni non sempre sono state facili, ma abbiamo saputo superare le difficoltà instaurando un dialogo molto positivo. In questo senso possiamo essere considerati un esempio. I popoli per fiorire ed esprimere il loro potenziale hanno bisogno della pace ed è per questo che il terrorismo e il radicalismo devono essere combattuti.

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